La politica fa schifo

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Quando uno parla per luoghi comuni è un qualunquista, quando si di tutta l’erba un fascio non è corretto, quando si dice che la politica fa schifo allora è un populista. Tutte cazzate.

La politica fa schifo, è un dato di fatto. Come dire che il sole emette calore, che l’acqua disseta, che la vita ha un termine. La paraculaggine perenne di pochi sfacciati personaggi che giocano a farsi la guerra è un mistero che la storia si è sempre portata sulle spalle. E chissà come verrà chiamata sui libri dei posteri questa fase della politica italiana. Davvero si dirà che i ministri del Pdl si sono dimessi per “non rendersi complici dell’aumento dell’Iva” – come ha detto Berlusconi ordinando ai suoi di ritirarsi dall’esecutivo?

Fino a ieri lo stesso Berlusconi aveva assicurato che il governo non avrebbe subìto nessuna ripercussione dalle sue vicende giudiziarie. Poi oggi l’improvvisa decisione: ritirata! E –con una scusa (l’Iva)  che rasenta il ridicolo- la crisi si apre. Si apre una crisi nella crisi, davanti ad un’Europa che ci chiede di rientrare dal deficit del 3%, davanti ai tanti giovani che non sanno che fare della propria laurea perché non trovano lavoro, davanti a chi il lavoro ce l’aveva, ma l’ha perso, davanti ai pensionati e ai malati che non hanno più gli ospedali perché – a causa di tagli- sono stati chiusi.

Questo non è qualunquismo, è realtà, la realtà è correttezza e la correttezza non è populismo. La politica fa schifo.

Me lo tiravano su (il morale)

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“Non lo so, forse, non ricordo bene”. Molte volte ha detto così. Poi ha raccontato barzellette e depositato dichiarazioni sulle sue telefonate con quel mascalzone di Lavitola. Ma anche qualche chicca imperdibile.  È questa la sintesi dell’interrogatorio che Silvio Berlusconi il 17 maggio scorso fa davanti al procuratore aggiunto di Bari, Pasquale Drago, nella speranza di convincerlo che con Tarantini (l’uomo che gli portava le escort ad Arcore) non c’entrasse nulla.

Peccato però che al momento pare che i giudici (sarà perché sono di sinistra) non gli credono: i suoi avvocati,  Ghedini, Longo e Sisto, speravano nell’archiviazione e invece pare si vada verso il processo con l’accusa per B. di aver pagato Tarantini affinché lo tenesse lontano da questa storia.

Tra le varie dichiarazioni dell’interrogatorio  una colpisce immediatamente. Alla domanda del Pm su Tarantini: “Ma lei, scusi, perché ha stretto questa amicizia con questo signore?”. Berlusconi ha risposto: “Devo dirle che era piacevole avere in mezzo a tante persone uno che si faceva sempre accompagnare da belle ragazze: dicevo al maggiordomo che le ragazze me le mettesse proprio di fronte per tirarmi su il morale”.

(potete ridere)

Pare ovvio che il Pm -ottenuta questa risposta- abbia mantenuto un’espressione imperturbabile. E’ la sua professione che gliela impone. Ma noi, nessuno escluso pensiamo e diciamo in coro… “Sì, come no…il morale!”

Io non sono (lo) Stato

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Di tutte le attese legate all’ evoluzione politica di queste ore, il discorso di Berlusconi è la cosa che colpisce meno di tutte. Tecnicamente la sua capacità comunicativa rimane la stessa, ma ha perso d’efficacia. A Roma direbbero: “A Berluscò nun te crede più nessuno!”.

Eppure non è difficile immaginare che il venturo (vecchio)  partito Forza Italia -che scenderà (di nuovo) in campo- avrà un largo consenso. Le parole del Caimano -specie quelle che pregano gli italiani di ribellarsi- sono troppo invitanti per chi è stato vittima negli anni dei soprusi di governi incapaci di far crescere il Paese.

Ed ora – come nelle più antiche tradizioni mafiose- le parole di Berlusconi vengono a dirti: ” Caro italiano fai guerra alla magistratura, fai guerra allo Stato. Io ci sarò comunque, decaduto o meno ti sarò vicino.”

A guardare Berlusconi uno si potrebbe legittimamente domandare se “ci fa” o “ci è”. Ma si capisce subito che il Cavaliere è uno che “ci fa” e anche bene. Piuttosto è chi gli va dietro che fa sorgere qualche dubbio sulla propria integrità mentale.

Forse aveva ragione Shakespeare nel dire che un’epoca terribile è quella in cui gli idioti governano i ciechi.

Intervista a Paolo Hutter. Testimone italiano del golpe cileno.

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Anche quell’11 settembre era un martedì. A Santiago, quel giorno del 1973, si stava consumando il Golpe fascista di Pinochet. Si stava scrivendo la pagina più triste del della storia cilena. “Ero dall’altra parte del mondo e il 15 agosto -quando arrivai in Cile- era inverno. Il mio arresto fu inevitabile.” Paolo Hutter, allora giovane militante di Lotta Continua fu l’unico testimone diretto italiano di quei giorni.

Paolo qual è stata la tua prima impressione del Cile?

Arrivai in Cile ad agosto, lì era inverno. Presi un autobus da Lima per raggiungere Santiago e attraversando un abbagliante deserto mi ritrovai in una città non molto diversa da come me l’aspettavo. C’era subbuglio in giro, ma vi ero in qualche modo abituato. Anche in Italia quelli erano anni caldi ed io ero un militante di Lotta Continua…

Come mai ti trovavi lì?

Per curiosità. Avevo letto un servizio sull’Espresso che descriveva i forti movimenti sociali che nascevano sotto Unidad Popolar di Salvador Allende. Decisi quindi – a cuor leggero- di partire per conoscere meglio quella realtà.

Poi cosa è successo?

Sono stato arrestato e credo che fosse una cosa inevitabile. Dopo il golpe e dopo alcuni giorni di coprifuoco decisi di tornare in Italia anche perché non avevo con me nessuna certificazione che testimoniasse il fatto che fossi un giornalista e la situazione s’era fatta pericolosa. Avevo parlato già con l’ambasciata, il biglietto per il ritorno era già pronto. Ma non feci in tempo. Andai a trovare un mio amico, un militante socialista, e trovai di fronte a me alcuni militari che lo stavano arrestando. Non ci fu modo di discutere. Arrestarono anche me.

Dove ti hanno portato?

In modo aggressivo ci caricarono su un furgone. Era molto strano, non c’erano sedili, quindi eravamo tutti sdraiati a terra. Ci hanno portato all ‘Estadio Nacional e lì capii che eravamo di fronte ad un vero e proprio campo di concentramento.

Quali son oi tuoi ricordi dello stadio?

Intanto le ore ed ore passate in ginocchio con le mani dietro la nuca per entrare. Poi devo dire che la mia percezione fu che ci fosse uno stadio nello stadio: uno in cui i prigionieri come me venivano tenuti d’occhio e lasciati uscire per qualche ora d’aria prima di rientrare negli spogliatoi e l’altro dove avvenivano le torture. Fortunatamente io ero nel primo stadio, ci rimasi per 21 giorni. Alcuni dopo le torture tornavano negli spogliatoi, altri non si videro più.

Quando si parla del golpe cileno si sente raccontare anche di pratiche brutali: cani addestrati a stuprare donne, cavi elettrici ai genitali degli uomini, gente gettata fuori dall’elicottero. Come ti spieghi tanta crudeltà?

Non so. Non ho avuto testimonianza diretta di questo. Devo dire che non c’era una logica scientifica data a quella repressione. I militari sono stati brutali ed è come se torturassero perché fosse chiaro a tutti che lì non doveva fiatare nessuno. Dovevano lanciare un messaggio a chi aveva intenzione di ribellarsi. La verità è che nelle forze armate ha prevalso una vera e propria volontà di cambiare il sistema.

Cosa mai si è arrivati al colpo di stato?

Ci si è arrivati perché Allende, pur avendo grande popolarità, era stato eletto nel 1970 con il 36, 5 % di voti e poté governare per via del sistema maggioritario. Ma nel 1973 c’erano state le parlamentari e il centro si unì alla destra ottenendo la maggioranza. Ed è su questo punto che bisogna fare una riflessione. Abbiamo visto recentemente nei paesi del mediterraneo che quando si ignora una forte opposizione poi questa finisce per usare la violenza. Noi sapevamo che Unidad Popolar di Allende era la via migliore per il Cile, ma non si poteva ignorare che la destra aveva la maggioranza. Allende aveva preso coscienza di questo e aveva deciso di indire un referendum per verificare la legittimità del suo governo. L’avrebbe annunciato proprio l’11 settembre. Ma non fece in tempo.

O non glielo fecero fare?

Bè certamente quella sua decisione non era ben vista dai suoi militanti. E la destra (che sapeva) andò comunque avanti per la strada del golpe. Probabilmente si poteva evitare.

Cosa ti ha lasciato quest’esperienza?

È una cosa che ho portato sempre con me. Posso dire che è stato il mio battesimo di fuoco da giornalista. Mi ha lasciato un aspetto di rigorosità professionale e un forte attaccamento alla storia. Agli avvenimenti di cui ognuno di noi è protagonista. E poi mi ha insegnato che l’uomo può essere tanto violento ma anche molto solidale, come è stato nello stadio.

Menomale che Silvio (non) c’è!

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Gli elementi ci sono tutti: la crisi economica, due grandi potenze l’una contro l’altra e le armi pronte. Ma questa che sta per iniziare sarà davvero la terza guerra mondiale?

Tutto può essere. Ma una vicenda di qualche anno fa rende tutto più misterioso.

Il 2 novembre del 2000 è apparso sul web John Titor, un sedicente crononauta che ha affermato dal suo blog di provenire dall’anno 2036. Tornato indietro per recuperare un vecchio computer dell’IBM, Titor ha lasciato traccia di alcune sue dichiarazioni. Oltre ad affermare che in Iraq non sarebbero state trovate armi chimiche ma che una guerra sarebbe comunque stata combattuta, il viaggiatore del tempo ha parlato di una terza guerra mondiale, che avrebbe coinvolto L’America e la Russia.

Bufale a parte (quella di Titor è una vera e propria mistificazione senza fondamento), c’è seriamente il rischio che un evento del genere possa verificarsi. Diversi capi di Stato, come quelli di Turchia, Canada, Arabia Saudita e Francia sono pronti a seguire l’iniziativa bellica di Obama. Quest’ultima -che da quanto affermato è mossa dal senso di dovere che gli Usa hanno nei confronti del mondo- sarà contrastata da Putin e il suo esercito. Il presidente russo ha infatti detto che sarà accanto alla Siria in caso di attacco americano. 

In tutto questo c’è una nota positiva. Berlusconi -malgrado i suoi tentativi di rientro in campo- non sarà protagonista decisionale di un eventuale intervento italiano accanto al potente di turno.

E vi pare poco? Immaginiamolo lì in piazza Venezia: “Italiani!”.