A passo di danza

Soltanto due settimane fa, Colonia portava alle cronache i fatti terribili relativi alle violenze di gruppo avvenute durante la notte di San Silvestro. Ne sono seguiti accesissimi dibattiti, sia in Germania che nel resto d’Europa.

Il fatto-di per sé osceno- fa discutere ancor più di quanto avrebbe fatto se a commettere quelle violenze fossero stati cittadini tedeschi. Ed è comprensibile. A quanto pare infatti-secondo i rapporti tardivi e confusi della Polizia- le donne molestate sarebbero state vittima di bande (più o meno organizzate) di nordafricani richiedenti asilo. Quegli stessi immigrati che qualche mese fa furono accolti nel giubilo della Germania, gli stessi immigrati che dai tedeschi ricevettero applausi e pacche sulle spalle, oltre alla buona parte dei loro guardaroba in segno di solidarietà e di fratellanza.

L’accaduto suona come un tradimento bello e buono. Ma fare di tutta l’erba un fascio è sempre sbagliato. Però c’è un fatto che non si può sottovalutare. Nonostante ci siano arrivate informazioni contraddittorie (chi parla di mille persone organizzate, chi di qualche decina) sappiamo che degli abusi sono stati consumati.Sappiamo che molte donne hanno subito la ruvidità di mani affamate sotto le gonne, nei reggiseni, nelle mutandine.

Quindi sminuire questi episodi non è auspicabile almeno per due motivi: punto primo, si rischia di apparire troppo deboli agli occhi degli approfittatori (un aggressore la sera di capodanno avrebbe stracciato davanti alla Polizia un permesso di soggiorno dicendo: “Non mi fate niente, tanto domani ne vado a fare un altro”), punto secondo si creano le condizioni per cui piccole metastasi rischiano di intaccare tutto il corpo.

Allora come estirparle? Come distinguere l’erbaccia cattiva in prati così densi? Difficile rispondere, ma è chiaro che la partita per il futuro geopolitico dell’Europa si gioca su strategie che mirino ad affrontare seriamente la questione dell’integrazione.

I fatti di Colonia mi riportano a Torino. Una città bellissima, forse la migliore dove vivere da giovani. Un posto dove l’integrazione tra italiani e stranieri è molto avanti rispetto ad altre città della penisola. Eppure capitava di assistere spesso a scene di violenza, causate perlopiù dai nordafricani che popolavano i Murazzi, la zona a ridosso del Po piena di locali notturni.

Per poco, pochissimo (un ingresso in discoteca negato), ho visto un ragazzino del Marocco tagliare la gola ad un buttafuori. E poi risse continue, spaccio di droga.

Ma ai Murazzi oltre allo spaccio c’erano i furti. Avvenivano tutti in un modo particolare che rassomigliano del tutto alle modalità con cui a Colonia le ragazze sono state circondate: a passo di danza.

Gruppi di ragazzi abbracciati che dondolano simulando (o anche no) l’ebbrezza si chiudono in cerchio fino a circondarti. La confusione causa al malcapitato la sensazione di sbandamento: non si sa più dove guardare, non si sa più chi ti sta toccando, né se lo sta facendo per farti del male o solo perché ha alzato troppo il gomito. Si viene inghiottiti e sputati fuori nel giro di qualche secondo. Tanto basta perché ti vengano portati via soldi, telefoni e gioielli.

Della Polizia nemmeno l’ombra. Eppure un intervento si sarebbe potuto compiere senza troppe difficoltà. I Murazzi -per chi non fosse mai stato a Torino sono composti – in via del tutto sommaria- da una strada a tre ingressi, bloccati i quali l’unica via di fuga sarebbe il fiume. Con ogni probabilità non si interveniva per non perdere tempo ad arrestare persone che sarebbero state rilasciate entro poche ore perché in possesso -in fin dei conti- di poca roba o perché minorenni.

La sfida che l’Europa deve vincere parte dall’individuazione di soluzioni che permettano di intervenire subito, di essere duri con chi delinque.

Mancano fondi per le forze dell’ordine e vanno trovati, e -punto fondamentale- siamo sprovvisti di una politica dell’integrazione comune, che permetta alle persone di avere un ruolo attivo nella società. Un sistema che permetta di attuare gli slogan politici dell’accoglienza partendo dalla consapevolezza che culture differenti non possono imparare a cambiarsi, ma devono imparare a convivere.

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