Quoque vos consiglieri miei?

Ha fatto quello che poteva fare Marino. La sua coscienza gliene sarà grata così come i suoi elettori che in un’eventuale e probabile ricandidatura non mancheranno di rinnovargli la fiducia. Ma -come ho detto anche ieri- la battaglia che l’ormai ex sindaco aveva deciso di intraprendere (o forse soltanto di dichiarare) era troppo onerosa rispetto alle sue forze.

Apprezzabile è stato il tentativo di contrastare il vertice del suo partito che l’ha intenzionalmente accompagnato all’uscita. Detestabile dall’altro lato vedere una Roma tenuta in ostaggio da questioni tipiche dell’italietta di sempre: dagli scontrini non giustificati alle dispute  interne a chi ce l’ha più grosso.

“Chi mi ha accoltellato -ha detto- ha 26 nomi e cognomi, ma un solo mandante”.

Sembrava Giulio Cesare, solo un filino più  vittimista che se la prendeva con i suoi Bruto: ” Quoque vos consiglieri miei?!”. Come se rimarcare il suo martirio facesse di lui un eroe, o una vittima da compatire. Non è stata un’uscita di scena in grandeur, e poteva risparmiarsela, perché quando non hai i numeri non puoi dare sempre la colpa agli altri.

Se non riesci a governare forse la colpa è solo tua.

Forse.

Non li ha delusi

Nonostante la pressione del Pd, Ignazio Marino ha ritirato le sue dimissioni annunciate lo scorso 12 ottobre. Aveva detto ai suoi sostenitori “Non vi deluderò!”, e ha mantenuto la promessa. Chapeau!

Però la sensazione che il sindaco abbia vinto solo una battaglia di una guerra molto più lunga e più impegnativa di quante siano le sue forze c’è ed è tangibile.

È altrettanto tangibile il fatto che per la prima volta Renzi sia stato messo all’angolo. Non c’erano riusciti Bersani, Cuperlo e nemmeno Fassina (ridicolizzato dal Premier con quel memorabile quanto vile “Fassina chi?”). Non c’era riuscito nemmeno il Berlusconi tradito dal patto del Nazareno.

Renzi- che rappresenta non solo il partito, ma anche il Governo- aveva chiesto a Marino di dimettersi e non è stato ascoltato. Questo è il vero punto della questione. E’ chiaro che la vicenda di Marino non è un caso politico qualunque, quanto il passaggio fondamentale per la ridefinizione politica all’interno del Partito Democratico.

Una ridefinizione che puzza di rottura e i presupposti ci sono tutti: non solo la propensione dei renziani per una politica che propende verso il centro-destra e che fa accordi con personaggi del calibro di Verdini, ma anche la mancanza di ascolto da parte delle numerose voci di quello che solo per nome e non più per antonomasia è il Partito Democratico.

Le varie fronde interne al partito che da tempo cercano di lottare contro il Segretario -dopo la dimostrazione di forza di Marino- potrebbero trovare coraggio per crescere e andare avanti da soli. Sono loro che dovrebbero dare soccorso al sindaco e dare alle sue mancate dimissioni una collocazione politica ben precisa.

Se così non fosse la seconda vita al campidoglio del chirurgo genovese potrebbe essere solo un piccolo e penoso fuoco di paglia.

Benvenuto Presidente

 

Ieri sera ho sperimentato per la prima volta Netflix. Nonostante mi aspettassi un catalogo di film molto più vasto e aggiornato, ho passato la serata sul divano davanti una piacevole commedia italiana di un paio di anni fa. Il film è “Benvenuto presidente”, con Claudio Bisio nei panni di tale Giuseppe Garibaldi, pescatore di trote, che per un caso imprevisto si ritrova a fare il Presidente della Repubblica. Giuseppe, anzi “Peppino” -come lo chiamano gli amici del bar- insistendo come un mulo sulla via dell’anticonformismo istituzionale e  infrangendo ad ogni occasione la prassi del Palazzo, riesce a smascherare la politica marcia e a cambiare le dinamiche che l’hanno tenuta in vita da sempre. Lo fa con astuzia, con la mossa che non ti aspetti da un dilettante, da un pescatore dei trote. Alla fine però -invece di continuare a cambiare le cose- rassegna le sue dimissioni perché scopre che nemmeno lui può essere onesto fino in fondo.

Prima di lasciare i banchi del Parlamento però, fischiettando un improbabile inno di Mameli, lancia un appello a chi lo guarda dalla televisione: “Non si deve dimettere più nessuno? O forse Tu (indicando l’obiettivo della telecamera), tu che punti il dito e dici i politici sono ladri e poi magari evadi le tasse, parcheggi in doppia fila, paghi in nero convinto di risparmiare un po’, tu che non fai il politico ma ti piacerebbe farlo per poter piazzare i parenti arraffare qualche cosa che riesci a fare la tac in due giorni perché conosci il primario, tu che timbri il cartellino e poi t’imboschi, tu che magari sei onesto ma se vedi qualche amico che fa qualche abuso non dici niente tanto è un’ inezia, tu non ti puoi dimettere tanto non sei rappresentante di niente. Dovresti dimettere la tua furbizia sennò i prossimi saranno peggio di questi, perchè questi qua sono figli nostri di un paese dove le regole non le rispetta più nessuno. Già ma qui i disonesti son sempre gli altri, ma gli altri chi?”.

Gli altri sono sempre da mettere sotto giudizio. Questo è un vizio tutto italiano. Gli altri sono i politici presi di mira dai dipendenti del Comune di Sanremo su Facebook che poi andavano a timbrare il cartellino in mutande per poi tornarsene a dormire. Gli altri sono quelli come Marino che vengono messi in croce per gli scontrini dei pranzi e delle cene da chi uno scontrino non l’ha mai emesso in tutta la sua vita.

Gli altri siamo noi.

Noi che ancora aspettiamo un messia e sogniamo di poter gli dire orgogliosi e leali “Benvenuto Presidente”.