Che sia stato un governo impopolare, lo sa anche chi di quel governo ne è stato il capo. Mario Monti è consapevole di aver perso molta della fiducia che gli italiani sembravano dargli all’inizio del suo mandato. Per questo motivo ancora non dice se si candiderà o meno per le elezioni di febbraio.
La sua tattica è quella di sfruttare l’immagine che l’ha caratterizzato da sempre, quella figura di salvatore della patria che firma decreti legge eroici come -per l’appunto- il “Salva Italia”. La strategia è quella di far sì che siano i partiti a chiamarlo in campo, anche perché il Presidente Giorgio Napolitano gli ha chiesto –per il momento- di rimanere in panchina.
I metodi montiani potrebbero non essere democraticamente corretti, ma forse in questo caso il fine giustifica i mezzi. Il fine dev’essere lo stesso per il quale l’economista fu chiamato a governare: tenere basso lo spread e assicurare stabilità e credibilità in Europa. Un progetto che non può essere completato in un anno, malgrado Monti stesso dica: “Mission complete”. Di compiuto non c’è quasi niente perché a parte la fantaeconomia, mancano soldi per i pensionati e per la sanità, manca il lavoro per i giovani e le tasse sono troppe e troppo alte.
Una situazione che nessun partito politico italiano potrà sostenere e contrastare. Il PD è troppo eterogeneo, il PDL troppo personalistico e privo di contenuti extra-mediatici. Perciò, con tutti i mezzi ora bisogna continuare la “mission impossible” con la politica di Mario Monti, e mandare in panchina, ancora per un po’, la vecchia politica, auspicando invece, che presto qualcuno dal bordoncampo del Quirinale gridi a gran voce: “Mario riscaldati. Entri tu”.