Intervista a Paolo Hutter. Testimone italiano del golpe cileno.

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Anche quell’11 settembre era un martedì. A Santiago, quel giorno del 1973, si stava consumando il Golpe fascista di Pinochet. Si stava scrivendo la pagina più triste del della storia cilena. “Ero dall’altra parte del mondo e il 15 agosto -quando arrivai in Cile- era inverno. Il mio arresto fu inevitabile.” Paolo Hutter, allora giovane militante di Lotta Continua fu l’unico testimone diretto italiano di quei giorni.

Paolo qual è stata la tua prima impressione del Cile?

Arrivai in Cile ad agosto, lì era inverno. Presi un autobus da Lima per raggiungere Santiago e attraversando un abbagliante deserto mi ritrovai in una città non molto diversa da come me l’aspettavo. C’era subbuglio in giro, ma vi ero in qualche modo abituato. Anche in Italia quelli erano anni caldi ed io ero un militante di Lotta Continua…

Come mai ti trovavi lì?

Per curiosità. Avevo letto un servizio sull’Espresso che descriveva i forti movimenti sociali che nascevano sotto Unidad Popolar di Salvador Allende. Decisi quindi – a cuor leggero- di partire per conoscere meglio quella realtà.

Poi cosa è successo?

Sono stato arrestato e credo che fosse una cosa inevitabile. Dopo il golpe e dopo alcuni giorni di coprifuoco decisi di tornare in Italia anche perché non avevo con me nessuna certificazione che testimoniasse il fatto che fossi un giornalista e la situazione s’era fatta pericolosa. Avevo parlato già con l’ambasciata, il biglietto per il ritorno era già pronto. Ma non feci in tempo. Andai a trovare un mio amico, un militante socialista, e trovai di fronte a me alcuni militari che lo stavano arrestando. Non ci fu modo di discutere. Arrestarono anche me.

Dove ti hanno portato?

In modo aggressivo ci caricarono su un furgone. Era molto strano, non c’erano sedili, quindi eravamo tutti sdraiati a terra. Ci hanno portato all ‘Estadio Nacional e lì capii che eravamo di fronte ad un vero e proprio campo di concentramento.

Quali son oi tuoi ricordi dello stadio?

Intanto le ore ed ore passate in ginocchio con le mani dietro la nuca per entrare. Poi devo dire che la mia percezione fu che ci fosse uno stadio nello stadio: uno in cui i prigionieri come me venivano tenuti d’occhio e lasciati uscire per qualche ora d’aria prima di rientrare negli spogliatoi e l’altro dove avvenivano le torture. Fortunatamente io ero nel primo stadio, ci rimasi per 21 giorni. Alcuni dopo le torture tornavano negli spogliatoi, altri non si videro più.

Quando si parla del golpe cileno si sente raccontare anche di pratiche brutali: cani addestrati a stuprare donne, cavi elettrici ai genitali degli uomini, gente gettata fuori dall’elicottero. Come ti spieghi tanta crudeltà?

Non so. Non ho avuto testimonianza diretta di questo. Devo dire che non c’era una logica scientifica data a quella repressione. I militari sono stati brutali ed è come se torturassero perché fosse chiaro a tutti che lì non doveva fiatare nessuno. Dovevano lanciare un messaggio a chi aveva intenzione di ribellarsi. La verità è che nelle forze armate ha prevalso una vera e propria volontà di cambiare il sistema.

Cosa mai si è arrivati al colpo di stato?

Ci si è arrivati perché Allende, pur avendo grande popolarità, era stato eletto nel 1970 con il 36, 5 % di voti e poté governare per via del sistema maggioritario. Ma nel 1973 c’erano state le parlamentari e il centro si unì alla destra ottenendo la maggioranza. Ed è su questo punto che bisogna fare una riflessione. Abbiamo visto recentemente nei paesi del mediterraneo che quando si ignora una forte opposizione poi questa finisce per usare la violenza. Noi sapevamo che Unidad Popolar di Allende era la via migliore per il Cile, ma non si poteva ignorare che la destra aveva la maggioranza. Allende aveva preso coscienza di questo e aveva deciso di indire un referendum per verificare la legittimità del suo governo. L’avrebbe annunciato proprio l’11 settembre. Ma non fece in tempo.

O non glielo fecero fare?

Bè certamente quella sua decisione non era ben vista dai suoi militanti. E la destra (che sapeva) andò comunque avanti per la strada del golpe. Probabilmente si poteva evitare.

Cosa ti ha lasciato quest’esperienza?

È una cosa che ho portato sempre con me. Posso dire che è stato il mio battesimo di fuoco da giornalista. Mi ha lasciato un aspetto di rigorosità professionale e un forte attaccamento alla storia. Agli avvenimenti di cui ognuno di noi è protagonista. E poi mi ha insegnato che l’uomo può essere tanto violento ma anche molto solidale, come è stato nello stadio.