Dopo l’attentato di Charlie Hebdo scrivevo parole che stasera sento di voler ripetere. Perché è la storia stessa che si ripete.
Dopo una giornata così è difficile fare delle riflessioni. Molte sono state già abbondantemente formulate e riformulate, altre –almeno per chi ha ascoltato le dichiarazioni della maggior parte dei leader mondiali- risultano persino pedanti. Da domani la Francia, e forse anche tutti noi, ci sveglieremo con delle nuove questioni, la più importante delle quali ci porterà a chiederci se in fondo gli estremisti come Marine Le Pen in Francia, La Lega o Casa Pound in Italia, non abbiano ragione quando insistono a sostenere le loro posizioni razziste contro l’Islam e contro i musulmani che vivono in Europa. Cosa risponderemo domani a chi ci dirà: “Ve l’avevamo detto”? […]
Non sarà facile dibattere con loro. Non sarà facile continuare a sostenere le ragioni di una società multietnica davanti a centinaia di morti. Davanti alla brutalità pura.
Non sarà facile, ma è fondamentale non farsi coinvolgere dalla paura, dalla logica del terrore e dalla rabbia che ci vorrebbe subito in guerra, in prima linea a distruggere la Siria (come se la SIria fosse l’Isis).
Fosse anche solo per non dar ragione agli sciacalli dei nostri tempi (solo alcuni esempi riportati intelligentemente da Linkiesta)
E’ per logiche del genere che adesso piangiamo i morti di Parigi. E’ praticando l’ignoranza e la violenza che ora passiamo alla cassa pagando l’ignoranza e la violenza altrui.
Sono in qualche modo convinto che ognuno degli attentatori di Parigi fosse un disadattato sociale e sono altrettanto sicuro che chi ha ucciso oltre 150 persone nel cuore della Francia avesse la cittadinanza francese.
Ma questo non basta, perché solo chi si sente integrato può volere il bene di una nazione e proprio in virtù di quell’integrazione non può voler far male a chi gli vive accanto in cordialità. Ma se è l’odio a popolare la nostra società allora avremo una società che ci risponde con l’odio.
Vanno prese senz’altro delle iniziative perché è ingenuo -oltre che da fricchettoni- sostenere che il pericolo attentati non esiste. Ma sappiamo pure -meno ingenuamente- che ci sono modi alternativi alla guerra per sottrarre forze al califfato dell’Isis, come non fornirgli più le armi o non comprare petrolio dai territori che controllano.
Se c’è una guerra da combattere è di tipo culturale e strategico. Qualsiasi iniziativa bellica sarà un fallimento. Potrà anche portare benefici a breve termine, ma di sicuro -su una scala temporale che va da domani a 10 anni- sarà un fallimento assicurato.