Da oggi siamo più italiani. Nel senso che il parlamento ha approvato la norma che determina l’insegnamento dell’Inno di Mameli tra i banchi e istituisce il 17 marzo come la giornata nazionale dell’Unità d’Italia, della Costituzione, dell’inno nazionale e della bandiera. Molti di noi avranno pensato che non serviva impegnare energie per un provvedimento del genere. Insomma, ci sono questioni decisamente più urgenti e più serie in questo momento.
Eppure
un senso lo si trova. Sta tutto nei simboli. Sono importanti i simboli. Lo sono perché creano unità, e fanno ricordare chi siamo, una cosa fondamentale per un periodo di smarrimento totale come questo.
L’esempio più eclatante sono gli Stati Uniti.
La nazione più potente (Cina a parte), di simboli ne è impregnata fino all’osso. Si prenda ad esempio il voto di novembre. Perché non lo si fa nel fine settimana? Certamente andrebbero a votare più elettori, liberi,come sarebbero, dal lavoro. Invece no, si svolge –cascasse il mondo- il martedì dopo il primo lunedì di novembre, e fu scelto perché la domenica era il giorno di riposo proclamato dalla Bibbia, quindi i contadini dovevano riposarsi e non dovevano affrontare lunghi viaggi per andare a votare,perciò nemmeno il lunedì era possibile fissare un voto. Il mercoledì erano impegnati nel mercato e quindi fu stabilito il martedì. Dal 1845 la tradizione persiste.
Ma
a parte il voto, ci sono altre cose, come la bandiera, il mito della grandezza, il sogno americano ed altre cose più estreme come la guerra e il “pledge of allegiance”, quel giuramento (facoltataivo) con cui gli studenti al mattino, con la mano sul petto e lo sguardo alla bandiera recitano: “Giuro di essere fedele alla bandiera degli Stati Uniti d’America, e alla Repubblica che essa rappresenta, una nazione sotto Dio indivisibile, con libertà e giustizia per tutti”.
Non è auspicabile
arrivare a questo genere di fanatismi, ma un sano patriottismo è quello che ci vuole per risollevare un’Italia così dispersa e spaccata, conosciuta per il cibo buono, i monumenti e la mafia. Sarebbe il caso di puntare forse sulle persone, su di noi, su chi nasce qui e su chi va via, su chi viene e lavora con noi o per noi. È l’ora di cantare, insieme, “Fratelli d’Italia!”.